Candelora, credenze e suggestioni dal Cilento ‘Antico’
Il 2 febbraio si celebra la Presentazione di Gesù al Tempio. IL linguaggio popolare restituisce la Candelora, una festività che, soprattutto in passato, ha scandito i ritmi della quotidianità. Il legame tra la ricorrenza e la sfera agro-pastorale ha radici antichissime, probabilmente da ricercare in contesti che vanno ben oltre gli stessi significati cristiani. Ed è proprio dalle origini che bisogna partire per comprenderne a pieno i significati più profondi.
La Candelora
La Presentazione al Tempio di Gesù è il giorno in cui un tempo si ricordava la Purificazione della Beata Vergine Maria. Tuttavia è ormai consolidata la lunga tradizione che identifica il 2 febbraio come giorno della Candelora. Il nome trae origine dalla benedizione dei ceri. Saranno di buon auspicio per i mesi che arriveranno considerato che il nuovo anno è appena iniziato. Il candela farà da ‘amuleto’ per la protezione domestica e, in particolare, per scongiurare carestie garantendosi un buon raccolto nell’annata. Ciò nonostante pur essendo ormai condivisa pienamente nell’ottica cristiana, è bene ricordare che la Candelora trae origine da precetti pagani e legati dapprima al mondo agreste. Inoltre, è la vigilia di San Biagio, protettore della gola, altro importante appuntamento che a sua volta segue i giorni della merla. Si origina così un laborioso spazio del calendario popolare cilentano, scandito da proverbi e credenze.
La Candelora: un confine immaginario, un anticipo di primavera e la proverbialità
Nei tempi passati, la Candelora costituiva il confine immaginario tra l’inverno e la primavera e nonostante la cadenza rientri nel bel mezzo della stagione fredda, il 2 febbraio rappresentava l’approssimarsi della semina per diverse colture. Non a caso il giorno seguente, a San Biagio, si benedivano le sementi e con l’arrivo delle Ceneri si organizzavano i primi semenzai. La Candelora, dunque, rientra tra le ‘date agrarie’ del Cilento, quelle che scandivano la vita nei campi e dettavano le sorti del raccolto. Tra l’altro, è una delle storiche ricorrenze che conserva una proverbialità assai nota e diffusa. Quanno vene la Cannelora ra vierno simo fora ma si chiove o mena viendo quaranda juorni re maletiembo, alludendo palesemente alle condizioni climatiche. Nessun fondamento plausibile sotto i riflettori della modernità se non la nuda saggezza che scaturisce dall’esperienza di un vissuto forse ormai lontano, sconfitto dalla insidie del tempo.
La disamina del proverbio: quanno vene la Cannelora…
Il proverbio dice che ‘l’inverno è finito se il tempo è mite oppure va avanti per altri quaranta giorni’, richiamando questa volta la sola componente cristiana: nei ‘quaranta giorni’ si identifica il tempo trascorso dal Natale. In origine cadeva il 14 febbraio, quaranta giorni dopo l’Epifania, generando in una chiave di lettura contemporanea, una certa confusione. La stessa proverbialità s’inclina in varianti contrastanti. Si chiove a Cannelora ra lu vierno simo fora ma si neveca o mena viendo quaranda juori re maletiembo. E ancora: la ‘Cannelora’ e ‘Santo Jasi’, come ‘la Befania’ si esprimono in ‘la Befania ogni festa porta via’; responne la Cannelora: nge so io angora. Dal Cilento e nella panoramica partenopea a Cannelora Vierno è fora! responne San Biase: Viern mo’ trase! Rice la vecchia rinta la tana: nce vole nata quarantana! Canta lu monaco rinda lu refettorio: tanno è estate quanno è Sant’Antonio!