Scauratieddi, è Natale nel Cilento: ecco la ricetta
Secondo una consuetudine plurisecolare gli scauratieddi si preparano la vigilia di Natale. Si tratta quasi di un rituale poiché, in passato, era il momento propizio anche per tramandarne la ricetta. E così, le brave massaie, insegnavano quest’arte pure ai più piccoli tra figli e nipoti.
Scauratieddi: un piatto che detta la storia
La genesi degli scauratieddi affonda le radici in tempi decisamente lontani. Queste caratteristiche zeppole, che non possono mancare sulle tavole di Natale in tutto il Cilento, hanno un’origine incerta, ma con molta probabilità giunsero sulle coste campane moltissimi secoli fa attraverso la cultura dei greci. Racchiudono un significato denso e profondo che spesso sfugge ai cilentani stessi. Ciò è fortemente rimarcato nella forma finale che assume le sembianze dell’alfa e dell’omega, prima e ultima lettera dell’alfabeto greco. Facendo parte, poi, della gastronomia natalizia, è facile intuire un legame anche con il concludersi dell’anno e, dunque, richiamando l’espressività letteraria, indicano pure l’inizio e la fine.
La tradizione
Al di là di ogni interpretazione sia storica che puramente culinaria, l’adattamento al contesto locale si è avuto fin dall’onomastica. Gli scauratielli, infatti, convivono con la forma scauratieddi e, più genericamente, con l’appellativo di “zeppole di Natale”. È evidente il passaggio da ‘ll’ latino a ‘dd’ del dialetto locale. Si tratta di una variante per nulla forzata e che rispecchia i canoni della lingua cilentana seppur, quest’ultima, non abbia una grammatica condivisa. A differenza di altre preparazioni, poi, che si annoverano tra le tipicità della cucina locale, non presenta ulteriori sfumature, lasciando intuire proprio l’incerta origine.
Scauratieddi: la ricetta
Fondamentale è la proporzione tra acqua e farina. Per prepararli bisogna far bollire l’acqua (teniamo come riferimento mezzo litro) unitamente a un rametto di rosmarino, la scorza grattugiata di arancia, limone e mandarino, mezzo bicchiere di vino bianco e mezzo di olio evo. Raggiunto il bollore si elimina il rosmarino e si unisce in un sol colpo la farina (mezzo kg). Mescolare energicamente e portare via dal fuoco. Appena l’impasto si compatta e si stacca dalla pentola lo disponiamo sul piano da lavoro leggermente unto di olio. Anche le mani vanno unte poiché l’impasto va lavorato caldo e velocemente. Si formano dei piccoli cilindri di pasta che si chiudono con le forme dell’alfa e dell’omega. Dopo averle fritte si passano nel miele o, secondo varianti moderne, si cospargono di zucchero.