Cicciata, “Ognissanti” e la “commemorazione dei defunti” legati da una tradizione ancestrale
La “commemorazione dei defunti” segue la festività di “Tutti i Santi” che, fin dall’antichità, riveste un ruolo cardine nel mondo cristiano. Ed ecco che, ancora oggi, anche nel Cilento tende a materializzarsi portando in tavola una piatto della tradizione: la cicciata.
La cicciata: un “piatto propiziatorio” e un “rito commemorativo”
La cicciata, nel Cilento, indica un piatto della tradizione che si prepara in due momenti dell’anno: il 1 maggio e il 1 novembre. Si tratta di due date simmetriche tra cui intercorrono i sei mesi. Questo periodo, generalmente, vede il compimento dei principali cicli produttivi con i loro frutti dalla maturazione alla raccolta. In realtà ci troviamo difronte a momenti diversi: nel tempo erroneamente sono stati assimilati tra loro, forse per la condivisone delle medesime modalità di realizzazione. A maggio, infatti, si univano le granaglie avanzate dalla semina e si cuocevano insieme originando una zuppa molto particolare (cicciammescka) dal sapore intesto e deciso. Arrivava così in tavola un piatto propiziatorio giacché era considerato un rituale benaugurante per i contadini. A novembre, invece, accostando i diversi tipi di legumi, la zuppa si preparava in segno di rispetto per i defunti.
Cilento, la tradizione del 1 novembre
Si racconta che, in talune realtà, questo piatto venisse addirittura portato accanto alle sepolture e a consumarlo non erano chiaramente le anime dei defunti, ma i più bisognosi che sapendo dell’usanza si recavano nei luoghi adibiti a campo santo proprio per tale motivo la sera del 1 novembre. Con il passare dei secoli poi traslando gli stessi significati interiori, la zuppa è offerta ai vicini di casa tenendo sempre presente chi ne avesse maggiore necessità.
La ricetta
Mentre la preparazione primaverile prende vita grazie alle rimanenze di dispensa, nel cuore dell’autunno si assiste, per certi versi, alla situazione inversa. Dal raccolto della stagione estiva probabilmente si sceglievano i legumi e i cereali meno adatti alla lunga conservazione; oppure, come mi viene da pensare, forse proprio le sementi migliori considerando il nobile fine. Resta intatto quel profondo significato che, talvolta, ancora si concretizza, mantenendo viva un’usanza che, certamente, arriva da molto lontano.