Parmarieddi, nel Cilento ‘le sorti del grano’ aprono la Settimana Santa
Parmarieddi è il nome tradizionale che viene dato ad un tipo di pasta preparato in occasione della Domenica delle Palme. Evoca un’origine antica, custodita ormai quasi esclusivamente nella memoria dei nostri nonni. Nonostante la modernità abbia in parte minato i ‘parmarieddi’ dal punto di vista della diffusione, è ancora possibile argomentare questa vecchia usanza grazie alla tenacia di tanti laboriosi abitanti del Cilento.
(Il presente lavoro è frutto di ricerche personali non rintracciabili altrove)
Parmarieddi, la storia di una tradizione gastronomica
Secondo la mia interpretazione storico-geografica, questo tipo di pasta, probabilmente è appartenuta al territorio immediatamente prossimo al perimetro del Cilento Antico. Una serie di fattori confermano l’attendibilità di questa deduzione. Oggi i ‘parmarieddi’ – o meglio i palmarieddi per la loro origine onomastica -, sono un piatto poco diffuso nel Cilento . Anche riferendoci a quel territorio dai confini indefiniti, che conosciamo soprattutto a partire dalla fine del XIX secolo. Volendo tracciare una mappatura di questa tradizione culinaria, si capisce subito che l’area di interesse è notevolmente decentrata rispetto al Monte Stella ed alla valle dell’Alento (perimetro storico del Cilento per intenderci). Insiste però nell’alta valle del Calore, in particolare a Piaggine e Valle dell’Angelo, per poi discendere verso il Vallo di Diano e la vicina Basilicata. A questo punto è accettabile definire i parmarieddi come un piatto remoto dell’Antica Lucania e non propriamente del Cilento.
Parmarieddi: nella forma e nel nome
Come anticipato, l’origine onomastica del piatto, è strettamente legata al significato. Tuttavia, il nome stesso traccia una già ricca storia, seppur in parte incerta e non del tutto nota. Il dialetto locale restituisce la forma parmarieddi, poiché la r subisce il fenomeno del rotacismo, adattandosi alle strutture fonetiche della parlata locale. In zone diverse dal Cilento, come il Vallo di Diano, tra l’altro, occasionalmente rimane proprio nella forma ‘palmarieddi’, accezione condivisa anche con una parte della Basilicata, ma convive con la forma parmarieddi, e ancora parmi e parmitieddi (decisamente distante è l’appellativo ‘foglie d’ulivo’, una trasformazione chiaramente moderna).
Resta, invece, nella forma parmarieddi nell’alta valle del Calore. Su questo punto però è difficile argomentare in modo esaustivo. Quella dei ‘parmarieddi’ potrebbe essere una versione onomastica relativamente recente oppure l’evolversi di una grammatica non scritta. Ritornando ancora sulla forma, è da evidenziare che in alcuni centri posti oltre i confini del Cilento, si realizzano schiacciando e tirando i pezzi di impasto verso l’esterno, conferendo una geometria totalmente nuova.
Un triplice significato simbolico
La parte più interessante di questa straordinaria tradizione culinaria risiede nel suo significato. Non a caso racchiude una triplice simbologia. Questa volta è d’obbligo parlare di ‘palmarieddi’ e non di ‘parmarieddi’ al fine di agevolarne la comprensione. La Domenica che precede la Pasqua si benedicono i rami d’ulivo e il primo significato risiede proprio qui: la palma (simbolo di pace e del cristianesimo in generale). A seguire troviamo il ‘palmo’: da un lato richiama la parte della mano che lavora l’impasto (il lavoro) e dall’altro fa riferimento all’antica unità di misura utilizzata per stabilire il peso del grano (il cibo). Secondo la credenza popolare, l’annata del successivo raccolto sarà tanto più abbondante quanto più sarà lungo il formato della pasta: un ‘piatto propiziatorio’ in pratica. Ecco perché, spesso, si modella la pasta utilizzando le dita di entrambe le mani.